Il Napoli, da schiacciasassi a squadra che adesso è l’ombra di sé stessa: se si dovesse sintetizzare in poche parole la parabola discendente del Napoli, probabilmente questo è il modo che meglio aiuta a rendere l’idea. E la cosa più assurda e paradossale, è che tutto è avvenuto nel breve volgere di poco meno di 12 mesi.
Di quella squadra capace di incantare anche l’Europa, è rimasto davvero poco o nulla: appena un anno fa, di questi tempi, fervevano i preparativi per un momento atteso ben 33 anni e che lasciava presagire l’inizio di un ciclo vincente che – a detta di alcuni – sarebbe potuto durare anche parecchio tempo.
E invece, così non è stato. Il colpevole numero uno di questo disastro porta inequivocabilmente il nome di Aurelio De Laurentiis. Il presidente – come Penelope – ha disfatto in maniera ignominiosa, una tela costruita gelosamente e con tanta pazienza, con una serie di scelte a dir poco scellerate e sciagurate.
Dapprima ha gestito in maniera sconclusionata e pasticciata, l’addio di Luciano Spalletti che aveva costruito un giocattolo meraviglioso, andando a pescare un tecnico come Rudi Garcia, lontano dal calcio che conta da diversi anni e che – sin dalla conferenza stampa di presentazione – non ha avuto quantomeno l’umiltà di guardarsi nemmeno una partita del Napoli della scorsa stagione. A ruota, l’allenatore francese ha preteso l’arrivo del preparatore atletico Rongoni che ha letteralmente stravolto la preparazione atletica dei giocatori, facendoli rendere assai meno di quanto erano abituati. E di sicuro non l’hanno poi aiutato certi suoi atteggiamenti supponenti e altezzosi non solo con chi l’a criticato, ma anche con alcuni giocatori che lo scorso anno sono stati protagonisti assoluti (Osimehn, Kvaratskhelia e Politano).
La serie di errori però non si è conclusa certo qui, ed è proseguita con la scelta del nuovo DS Meluso che ha preso il posto del partente Giuntoli, e l’arrivo – potremmo dire a scoppio ritardato – del centrale difensivo (il giovane brasiliano Natan) che ha sostituito il coreano Kim, solo ad inizio agosto.
I risultati sul campo hanno ben presto bocciato le scelte di ADL, con una squadra incapace di esprimere - se non per brevissimi sprazzi – l’immenso potenziale di cui dispone e con ambizioni che si sono via via ridimensionate. Nessuno chiedeva – né riteneva tantomeno possibile – ripetere per filo e per segno, quanto visto lo scorso anno. Ma una difesa orgogliosa e dignitosa del titolo conquistato al termine di una vera e propria cavalcata trionfale, era dovuto viste le premesse con cui si era partiti.
Nulla di tutto questo si è visto ed ecco che dopo l’inopinata sconfitta interna con l’Empoli, arriva l’esonero tardivo di Garcia. Al suo posto, sbagliando anche stavolta, viene riesumato Walter Mazzarri già sulla panchina azzurra negli anni in cui il Napoli stava iniziando a insediarsi in pianta stabile nei piani alti della classifica. In un’intervista a dir poco autoreferenziale, il tecnico toscano affermava di essere rimasto letteralmente estasiato al calcio spettacolare fatto esprimere da Spalletti.
Tanti bei propositi che però hanno ben presto fatto a pugni con la realtà del campo: peggiorata posizione di classifica (si è passati dal quarto posto occupato con 21 punti al momento in cui è stato mandato via Garcia, alla nona piazza attuale con 35 punti e una gara da recuperare con il Sassuolo), eliminazione umiliante e vergognosa dalla coppa Italia (0-4 in casa dalla neopromossa Frosinone), totale confusione tattica, atteggiamento pavido e rinunciatario (il 3-5-1-1 esibito in casa del rabberciato Milan è un insulto al buonsenso) in più di una circostanza e anche al cospetto di avversari meno dotati tecnicamente. A parziale sua scusante, va detto che quasi mai ha potuto disporre dell’organico al gran completo a causa della falcidia di infortunati e squalificati. Ma del calcio di Spalletti di cui tanto si è riempito la bocca per sponsorizzarsi e farsi bello anche davanti ai tifosi, se n’è visto davvero pochissimo.
Se poi a tutto questo ci aggiungiamo anche la pessima e approssimativa gestione dei rinnovi con Kavaratkhelia che percepisce assai poco per quello che è il suo talento, il macedone Elmas (uno dei pochi giocatori tecnici che erano ancora rimasti) ceduto come fosse un vecchio scarpone al Lipsia per 25 milioni di euro senza che sia stato adeguatamente rimpiazzato nella sessione di calciomercato di gennaio e Zielinsky e Osimehn che il prossimo anno indosseranno un’altra maglia, si capisce allora che i cocci – almeno per questa stagione – difficilmente potranno essere ricomposti.
Salvo, infatti, miracoli che non sono certo infrequenti nel calcio (anche se non sembra questo essere il caso del Napoli), la stagione è irrimediabilmente compromessa.
Certo, resta ancora la Champions League con l’affascinante doppio confronto con il Barcellona. Ma riteniamo assai difficile un cambio di rotta, stante le attuali condizioni psico-fisiche e di classifica che vedono anche il quinto posto occupato con pieno merito dal sorprendente e bellissimo Bologna di Thiago Motta (l’ultimo che potrebbe essere potenzialmente quello buono per accedere alla prossima edizione della Champions League che si annuncia quanto mai ricca e un vero e proprio toccasana per i disastrati bilanci di molti club, compresi quelli italiani) allontanarsi in maniera inesorabile e - molto difficilmente – recuperabile.
Un dato su tuti, può rendere l’idea: in tuti gli scontri con le squadre che si trovano nella prima metà della classifica, ad oggi il Napoli ha raccolto la miseria di appena 6 punti. Una vittoria (Atalanta), tre pareggi (Bologna, Milan e Lazio nel ritorno) e per il resto solo sconfitte (Lazio all’andata, Milan nel ritorno, Fiorentina, Inter, Juventus, Roma e Torino. Con uno score di appena sei gol realizzati e ben sedici incassati: numeri a dir poco imbarazzanti e degni di una squadra di centro classifica che spiegano più di qualsiasi altra cosa perché il Napoli il prossimo anno rischia di restare al di fuori non solo della Champions League ma anche – addirittura – delle coppe europee, dopo che per oltre un decennio è stato una presenza fissa.
Per poter uscire da questo vero e proprio “cul de sac” nel quale si è infilato, occorrerebbe che il presidente ADL inizi a limare alcuni lati del suo voler essere protagonista a tutti i costi, delegando le scelte migliori a chi di calcio se ne intende. Il voler dimostrare a Spalletti e Giuntoli di essere in grado di fare tutto da solo - affidandosi a persone come Garcia, Mazzarri e Giuntoli che hanno rappresentato in realtà un vero e proprio downgrade – ha presentato un conto salatissimo da pagare, che ha regalato amarezze e delusioni a una tifoseria appassionata come poche altre.
L’auspicio è che il presidente faccia un passo indietro, ammettendo con vera (e non di certo di facciata, così come recentemente fatto con quella conferenza stampa che tanto sapeva di one man show) umiltà di aver sbagliato e di ripartire da zero, facendo tesoro degli errori mostruosi commessi negli ultimi mesi.
Francesco Montanino
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