Lasciata alle spalle la più tormentata stagione degli ultimi venti anni, è finalmente arrivato il momento di voltare pagina. Neppure il più pessimista dei tifosi, avrebbe potuto immaginare un epilogo del genere: decimo posto in classifica, fuori da tutte le competizioni europee dopo 14 anni di fila in cui il Napoli è stato comunque presente in Europa e infine ambiente depresso e avvelenato dalle polemiche e dalle uscite fuori luogo del presidente De Laurentiis.
Un incubo sportivo iniziato il 7 maggio dello scorso anno quando, in un “Maradona-San Paolo” ribollente di passione e di entusiasmo per lo scudetto conquistato tre giorni prima a Udine, il Presidente ebbe l’ardire di promettere un futuro fatto di nuovi successi e trionfi. Quel “vincere, vincere e rivincere” e “questa squadra è così forte che la può allenare chiunque” riecheggiarono in tutto il mondo del calcio. E avrebbero alimentato nelle fantasie dei più distratti e disincantati, facili sogni di gloria che però ben presto si sono scontrati con una realtà che poi avrebbe presentato un conto salatissimo da pagare, con il trascorrere delle settimane e dei mesi.
Che in questa stagione ci sarebbe stato da soffrire, del resto, chiunque ne era consapevole perché a nessuna squadra che non sia una di quelle del famigerato trio Inter-Milan-Juventus, è mai riuscito il bis dello scudetto. Ci andò vicino il Napoli di Maradona nella stagione 1987-1988, quando si classificò al secondo posto, dopo aver letteralmente gettato alle ortiche uno scudetto che sembrava essere stravinto, con un finale di stagione a dir poco catastrofico, con tante voci che gettarono pesantissime ombre sul comportamento di quella squadra con la famosa epurazione di quei giocatori che si erano messi contro Ottavio Bianchi. Una pagina di storia che quella generazione di tifosi che ha più di 50 anni ricorda ancora troppo bene e che, per certi aspetti, si è ripetuta nella parte iniziale della stagione quando alla guida degli azzurri c’era Rudi Garcia.
Già, l’ineffabile Rudi Garcia. Dopo gli addii traumatici di Spalletti (che, a parere di chi scrive aveva già in tasca l’accordo con quella FIGC di Gravina che ha badato solo ed esclusivamente a tutelare certi brand del Nord pesantemente indebitati come ad esempio Inter e Juventus) e di Giuntoli (accasatosi sulla sponda bianconera di Torino, nonostante avesse ancora un anno di contratto con il Napoli) sono iniziati i problemi. I vuoti lasciati dalle partenze dell’allenatore che aveva saputo motivare e gestire un gruppo di giocatori sino a portarli al coronamento di un’impresa che non sarà mai dimenticata e del direttore sportivo che ha saputo gestire i complessi rapporti fra la proprietà e la squadra, avevano già fatto presagire le difficoltà che avrebbero contrassegnato la stagione del post-scudetto. E la scelta di affidare la panchina rimasta vacante dopo la partenza di Lucianone, a un allenatore che era appena fresco di esonero dal campionato arabo (?!), aveva fatto storcere il naso a parecchi tifosi e addetti ai lavori.
Un buon campionato con la Roma e una semifinale di Champions League con il Lione: questi sicuramente i risultati più significativi ottenuti dal tecnico transalpino che però era lontano dal calcio che conta da tantissimo tempo e ambasciatore di un calcio vecchio e sorpassato. Con questi trascorsi, era ovvio che dubbi e perplessità iniziassero ad aleggiare nell’ambiente partenopeo che chiedeva quantomeno di difendere in maniera dignitosa lo scudetto conquistato dopo un’attesa durata ben 33 anni e costellata anche dall’umiliazione del fallimento del 2004 e dalla ripartenza della terza serie, con l’avvento di Aurelio De Laurentiis.
Perplessità che sono iniziate con l’infelice uscita di Garcia in merito sul non aver visto nemmeno una partita del Napoli di Spalletti. E che si sono poi continuate a palesare con il trascorrere delle settimane, quando non era stato ancora sciolto il nodo del nuovo direttore sportivo e il rallentamento nelle operazioni di calciomercato soprattutto in entrata, dove bisognava colmare la falla che si era aperta nell’assetto di squadra, in seguito alla cessione del forte difensore centrale coreano Kim-Ming Jae al Bayern Monaco che aveva pagato la clausola di quasi 60 milioni di euro. Un vuoto che non sarebbe stato mai colmato perché l’acquisto del giovane prospetto Natan dal Bragantino e la scelta di non prelevare l’argentino Neuen Perez dall’Udinese nella sessione di gennaio del calcio mercato sono stati a dir poco deleteri per gli equilibri di squadra che intanto stavano ricevendo durissimi colpi dagli incomprensibili dettami tattici del nuovo allenatore Garcia e dai micidiali e massacranti metodi di allenamento del preparatore atletico Rongoni, in luogo di Sinatti che nelle ultime stagioni aveva ridotto al minimo gli infortuni muscolari.
Durante il ritiro di Dimaro, in tanti hanno testimoniato la scarsa attenzione alla fase difensiva manifestata dall’allenatore francese (aspetto che sarebbe stato a dir poco deleterio, così come hanno confermato i troppi gol subiti durante la stagione dagli azzurri e ai tanti problemi fisici che hanno falcidiato diversi giocatori (Anguissa ad esempio ha avuto un rendimento assai mediocre sia a causa della Coppa d’Afriсa disputata a Gennaio che per un infortunio che gli ha fatto saltare la parte più importante del ritiro), limitandone il rendimento.
La totale confusione che si è improvvisamente - e senza apparenti motivi - impossessata del Napoli proseguiva anche fuori dal campo, con un mercato in entrata in cui solo in un momento avanzato della preparazione precampionato arrivavano i semi sconosciuti Natan (arrivato dopo il no del Lens con tanto di post irridente sui canali social per il forte difensore Dansò) e Cajuste che avrebbero dovuto prendere il posto rispettivamente di Kim e sostituire Anguissa, all’occorrenza. Nel mezzo, c’era ancora la questione dei rinnovi di Osimhen, Zielinski e Kvaratskhelia e di altri giocatori che hanno contribuito allo scudetto come Mario Rui e Politano a tenere banco, con la dirigenza azzurra che preferiva temporeggiare alimentando speculazioni e illazioni che di sicuro hanno innervosito e non poco l’ambiente. Intanto, naufragava in maniera grottesca anche la trattativa che avrebbe dovuto portare in azzurro talentuoso spagnolo Gabri Veiga che avrebbe dovuto sostituire Zielinski, visto che non si era ancora trovato l’accordo con l’entourage del polacco. Dopo l’ennesima trattativa fallita con tanto di sbeffeggiamento da parte della società araba dell’Al-Ahli, arriva il ripiego con l’acquisto del danese Jesper Lindstrom dall’Eintracht Francoforte che avrebbe dovuto alternarsi con Kvaratskhelia nel ruolo di esterno offensivo. Anche se, nella squadra tedesca, nella scorsa stagione ha rivestito il ruolo di trequartista.
Un autentico oggetto misterioso dal momento che né Garcia e né successivamente Mazzarri e Calzona avrebbero trovato un’adeguata collocazione tattica a questo giocatore. In particolare, mister Calzona durante la conferenza stampa tenutasi dopo la partita con la Fiorentina, dietro una mia esplicita domando ha ammesso che per il tipo di gioco praticato dal Napoli, Lindstrom non è adatto perché avrebbe bisogno di maggiori spazi e quindi di una squadra con un baricentro più basso e capace di cambiare il proprio modo di giocare. Una sonora bocciatura per chi ha avallato l’acquisto di un giocatore sul quale c’erano comunque buone referenze e che ha trovato pochissimo risalto, in un contesto che è diventato a dir poco turbolento come avrò poi modo di raccontare in seguito.
Intanto, il campionato aveva inizio e dopo il sofferto 3-1 ottenuto in casa della matricola Frosinone, con diverse ombre dal punto di vista del gioco, il 2-0 rifilato al Sassuolo sembrava incanalare la stagione azzurra verso lidi più sereni. E invece, al primo scontro con una squadra di livello come la Lazio dell’ex Sarri, i nodi iniziavano a venire al pettine perché gli azzurri disputavano un ottimo primo tempo in cui con Zielinski rimediavano all’iniziale svantaggio firmato da un gol da fuoriclasse di Luis Alberto, salvo poi crollare nella ripresa sotto i colpi dei biancocelesti che espugnavano il fortino del “Maradona” per 2-1 dopo essersi visti annullare due gol per altrettante millimetriche posizioni di offside. La prestazione sottotono faceva scattare i primi campanelli d’allarme che si confermavano anche nelle successive prestazioni contro Genoa e Braga, in cui il Napoli continuava a non convincere e a soffrire oltre ogni aspettativa contro due formazioni decisamente inferiori dal punto di vista tecnico. La presunzione del tecnico francese dava enorme fastidio sia dentro che fuori dal campo: diversi giocatori lo criticavano in maniera plateale in mezzo al campo, e anche le risposte fornite a chi non era per niente convinto della strada che era stata intrapresa iniziavano ad aprire una profonda crepa fra lui e l’ambiente partenopeo. Già dopo Genova, a mio parere, la società avrebbe dovuto esonerarlo e non aspettare invece la partita con l’Empoli per prendere quei provvedimenti che invece si sarebbero resi necessari dopo alcune partite a dir poco raccapriccianti per il palato cui siamo stati abituati in questi anni.
Spaccatura che si sarebbe approfondita dopo la sconcertante prestazione contro la Fiorentina (sconfitta per 1-3) e resa irreversibile dallo scivolone interno in pieno recupero contro l’Empoli che sino ad allora nelle sue trasferte aveva raccolto solo sconfitte.
Siccome però al peggio non c’è mai fine, ecco che arriva – dopo un’intervista autoreferenziale al “Corriere dello Sport” - il ritorno di Walter Mazzarri che si era autoproposto sulla panchina azzurra dichiarando di essere un profondo ammiratore del calcio di Spalletti e di essere pronto a ricalcarne le orme dal punto di vista tattico. Dopo la fortunosa vittoria di Bergamo grazie a una rete nel finale del vituperato Elmas (poi ceduto a fine anno per 25 milioni di euro e mai adeguatamente sostituito), sarebbero poi arrivate in rapida successione le sconfitte con Inter (0-3), Juventus (0-1), Real Madrid (2-4), Roma(0-2) e Torino (0-3) e l’umiliante e surreale eliminazione in coppa Italia con il Frosinone (0-4 in casa!) inframmezzate dal sofferto successo interno contro il Cagliari (2-1) e dallo scialbo pareggio di fine anno con il Monza (0-0 con rigore parato da Meret). A Mazzarri va data l’attenuante di non aver potuto contare sull’attacco titolare a Gennaio, anche se il ricorso della difesa a tre se da un lato aveva leggermente migliorato la fase difensiva, aveva però sterilizzato il reparto offensivo che faticava terribilmente a costruire e a concretizzare in rete il gioco costruito.
L’esonero dopo l’ennesima prestazione deludente (1-1 con rimonta in extremis in casa con il Genoa) per far spazio a Francesco Calzona (vice di Sarri e attuale selezionatore della nazionale slovacca) fino alla fine del campionato, avrebbe rappresentato un unicum nell’era De Laurentiis, perché mai si era assistito a un simile valzer sulla panchina azzurra. Dopo una vittoria letteralmente gettata alle ortiche nel finale a Cagliari (gol subito negli ultimi minuti per un’incredibile distrazione difensiva), le vittorie contro Sassuolo e Juventus sembravano lasciar presagire un finale di stagione più dignitoso. E invece era un fuoco di paglia, perché dopo l’eliminazione in Champions League contro il Barcellona (con qualche strascico polemico per la direzione di gara che aveva gravemente danneggiato gli azzurri), arrivavano il pareggio con il Torino e la pesante sconfitta interna contro l’Atalanta (0-3 nel Sabato Santo) che riducevano drasticamente le possibilità di accedere alla prossima edizione della Champions League allargata e che mette sul piatto tantissimi soldi.
Il colpo di grazia alle residue speranze di salvare la stagione perché, dopo l’illusorio blitz esterno contro il Monza in terra lombarda (4-2), le successive partite avrebbero portato il misero bottino di 5 punti, frutti di altrettanti pareggi e due sconfitte. A rendere ancora più dure le statistiche, basti pensare che l’ultima vittoria interna risale addirittura allo scorso 3 marzo quando gli azzurri superarono nel finale la Juventus per 2-1. E che il decimo posto nella classifica finale, ha sancito l’esclusione dalle coppe europee dopo 14 stagioni consecutive.
La ricostruzione dovrà assolutamente tener conto di tutti gli errori fatti negli ultimi 12 mesi. La decisione di affidarsi ad Antonio Conte è un’arma a doppio taglio perché se è vero che il tecnico salentino è uno specialista nel rilanciare club in crisi (il suo curriculum parla da solo….), è altrettanto vero che occorrerà assecondarne le richieste, contrariamente a quello che non è stato fatto con Ancelotti alcuni anni fa. Conte inoltre è un personaggio da prendere con le molle, perché - se non dovesse essere accontentato - è pronto a sbattere la porta, così come ha già fatto nelle sue precedenti esperienze con Juventus e Inter.
È questo il pericolo più grande che il presidente De Laurentiis dovrà assolutamente cercare di scongiurare. Non sarà assolutamente facile, perché alle sacrosante ambizioni di una piazza desiderosa di riscatto dopo una stagione a dir poco sciagurata, occorrerà far quadrare anche i conti. Il Napoli dispone di una capacità di spesa che gli altri club di Serie A, possono semplicemente sognarsi grazie all’utile e alle riserve accantonate in questi ultimi anni: con questo non si vuole certo dire che bisognerà spendere in maniera dissennata e insensata, quanto piuttosto che occorrerà investire con oculatezza soddisfacendo il progetto tattico e tecnico del nuovo allenatore. Le prossime settimane ci aiuteranno senz’altro a capire che forma prenderà il Napoli 2024/2025 e se la rinnovata voglia di rivincita, sarà opportunamente corroborata dai risultati ottenuti sul campo.
Occorrerà, in particolare, prestare la massima attenzione ai movimenti in entrata e in uscita dei giocatori: la probabile partenza di Osimhen per una cifra che presumibilmente sarà sui 130 milioni di euro, dovrà servire a ricostruire la squadra partendo dai punti fermi Kvaratskhelia e Lobotka, dai quali ripartire con un nuovo progetto tattico. Conte, infatti, nelle sue precedenti esperienze da allenatore ha sempre preferito la difesa a tre e questo presuppone un utilizzo diverso di buona parte della rosa attualmente disponibile, al netto di chi già sa che la sua esperienza a Napoli è terminata. Sono tanti i nomi che naturalmente circoleranno da qui all’inizio del ritiro nel quale gli azzurri dovranno prepararsi bene in vista del primo impegno ufficiale che li vedrà in campo contro il Modena ne preliminari di coppa Italia. La non partecipazione del Napoli alle competizioni europee - unita a una campagna acquisti che assecondi le scelte di Conte - stanno già portando diversi addetti ai lavori a ritenere gli azzurri la possibile mina vagante del prossimo campionato. L’auspicio di tutti i tifosi è quello di rivedere una squadra capace di lottare su ogni pallone e che risvegli l’entusiasmo in una piazza duramente mortificata, da scelte societarie semplicemente incomprensibili e prestazioni sul campo indegne del tricolore cucito addosso, dopo ben 33 anni di attesa e una cavalcata trionfale.
Francesco Montanino
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